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Convergenza sull’oro, divergenza sul quadro macro

09 aprile 2019

 

A marzo il mercato dell’oro ha registrato diverse inversioni

Dopo sei mesi di rialzi, durante i quali il prezzo dell’oro è salito di 175 dollari l’oncia raggiungendo quota USD 1.345, a marzo abbiamo assistito ad alcune prese di profitto. Il 7 marzo, spinto da un temporaneo apprezzamento del dollaro, l’oro ha toccato il minimo mensile di USD 1.280. Il mercato aurifero ha tuttavia registrato una rapida inversione quando il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti ha reso noto che la crescita dell’occupazione nel settore non agricolo era stata di sole 20.000 unità a fronte di un’aspettativa mediana di 180.000. Lo stesso giorno, la Banca centrale europea (BCE) annunciava un’inversione della politica monetaria, con l’offerta di prestiti a basso costo alle banche e il mantenimento dei tassi d’interesse sui minimi storici più a lungo del previsto. Tutto ciò ha determinato un ritorno dei timori di recessione: i rendimenti dei Treasury a più lunga scadenza sono scesi sui minimi a 15 mesi, la curva dei rendimenti ha subito una leggera inversione per la prima volta dal 2007 e l’oro si è mosso al rialzo per toccare il picco mensile di USD 1.324 il 25 marzo. A fine mese, una diffusa debolezza ha interessato i metalli preziosi, trascinati verso il basso dalla brusca flessione delle quotazioni del palladio. È circolata inoltre la notizia di forti vendite da parte delle autorità turche per sostenere la lira in vista delle elezioni del 31 marzo. L’oro ha chiuso il mese a USD 1.292,30 con una perdita di 21,01 dollari l’oncia (-1,6%).

Dopo circa due anni nei quali non ha riportato alcun acquisto, la Banca Popolare Cinese (PBOC) ha reso noto di avere comprato oro per il terzo mese consecutivo, con un afflusso di 9,95 tonnellate a febbraio. Ciò sembra indicare che la Cina è tornata a essere un acquirente rilevante di oro, un segnale positivo per la domanda proveniente dalle banche centrali nel 2019.

A marzo, i titoli auriferi hanno generalmente seguito la performance dell’oro con un guadagno dello 0,74% sul NYSE Arca Gold Miners Index (GDM)1 e una perdita del 2,3% sul MVIS Global Junior Gold Miners Index.2

Cala la febbre delle fusioni

Nel primo trimestre, le attività di fusione e acquisizione (M&A) tra le supermajor sono giunte quasi alla fine. L’11 marzo, Barrick Gold (7% delle attività nette) ha ritirato l’offerta ostile su Newmont Mining (6,2% delle attività nette) e le due società hanno annunciato la creazione di una joint venture (JV) per unificare le rispettive operazioni in Nevada. Grazie all’unione delle attività in Nevada, la produzione raggiungerà i quattro milioni di once l’anno e Barrick, quale capofila della JV, stima che le sinergie frutteranno circa USD 5 miliardi. Dopo anni passati a negoziare un accordo, le due rivali, spinte dall’insistenza degli azionisti, hanno concordato la formazione di una JV in sole due settimane.

Gli investitori hanno poi rivolto le proprie attenzioni alla fusione amichevole Newmont/Goldcorp annunciata a gennaio. Logicamente gli azionisti di Goldcorp (2% delle attività nette) non vantavano alcun diritto sulle sinergie della JV in Nevada, che neppure esisteva quando la fusione era stata annunciata. Messa ancora una volta sotto pressione dagli investitori, Newmont ha deciso di concedere un dividendo straordinario del 2,5% ai propri azionisti come parziale anticipo sulle future sinergie in Nevada. Il dividendo verrà distribuito se ad aprile gli azionisti approveranno l’accordo Newmont/Goldcorp.

Tutte queste attività M&A da parte delle supermajor hanno come obiettivo la creazione di valore per gli azionisti attraverso l’unione di società, dirigenze e miniere, allo scopo di rendere più efficienti le estrazioni e generare una maggiore redditività del capitale investito. Auspichiamo che major, mid-tier e junior siano in grado di replicare le azioni delle supermajor. Secondo Pollitt & Co. Inc.,3 il 50% della produzione di minerale aurifero proviene da appena quattro società, mentre ci vogliono dieci società per arrivare al 50% della produzione di rame. A titolo di confronto, nel segmento aurifero ci vogliono venticinque società per arrivare al 45% della produzione. L’industria mineraria è un settore rischioso e non tutte queste società possono contare su un team di fuoriclasse. Il rischio dirigenziale può essere ridotto abbinando management competenti a miniere fruttifere, consentendo quindi un’ottimizzazione delle attività aziendali. Le attività M&A consentono inoltre alle società di minori dimensioni di acquisire la massa critica necessaria per accedere in modo efficiente ai mercati del capitale e concludere accordi più vantaggiosi per i materiali, le attrezzature e i servizi.

La divergenza sul quadro macro suggerisce la presenza di rischi futuri

Il successo negli investimenti dipende dalla capacità di prendere la decisione giusta al momento giusto. Un’ottima idea di investimento può fallire se non si indovinano i tempi. Da diversi anni mettiamo in guardia dai rischi di recessione. Ecco perché il nostro fondo è stato posizionato in modo così aggressivo in vista di un rafforzamento del mercato dell’oro. È vero che l’oro e le azioni aurifere hanno generato rendimenti positivi in due degli ultimi tre anni solari – beneficiando forse di alcuni dei rischi sistemici globali presenti al momento – ma è anche vero che le nostre previsioni di recessione sono state troppo premature. Due anni fa, abbiamo presentato questo grafico come il segnale evidente di un’imminente recessione. Oggi lo aggiorniamo e lo troviamo ancora più convincente.

La divergenza tra fiducia e consumi anticipa le recessioni

Divergence Between Sentiment and Consumption Precedes Recessions

Fonte: St. Louis Federal Reserve Bank, Bloomberg. Dati aggiornati a marzo 2019.

Facciamo notare la divergenza tra i dati sui consumi (“quantitativi”) e i dati sulla fiducia (“qualitativi”) che precede ogni recessione. Prima di una recessione, la fiducia si mantiene forte mentre gli indicatori economici reali peggiorano. E oggi tale divergenza è ancor più pronunciata. Riteniamo che questo grafico e altri indicatori di fine ciclo, così come la volatilità dei mercati azionari, l’andamento del mercato obbligazionario e la condotta delle banche centrali confermino le probabilità di una recessione, che potrebbe arrivare prima di quanto molti non si aspettino. Se l’economia dovesse piombare in recessione, i rischi finanziari aumenterebbero e ciò spingerebbe l’oro al rialzo.

Il debito federale statunitense cresce rapidamente

Il debito federale è pari al 75% circa del prodotto interno lordo (PIL) statunitense e sta crescendo rapidamente. I deficit annui nell’ordine di migliaia di miliardi di dollari hanno fatto la loro comparsa per la prima volta sotto l’amministrazione Obama. A partire dal 2022, stando a quanto dichiarato dall’Ufficio di bilancio del Congresso (Congressional Budget Office, CBO), le politiche di Trump spingeranno nuovamente il deficit oltre la soglia dei mille miliardi di dollari (4,5% del PIL). Contrariamente a quanto accadeva quando Obama era in carica, oggi i politici si lamentano raramente del livello del debito. A Washington spendere di più è facile, mentre tagliare i bilanci sembra politicamente impossibile. Per questo motivo siamo dell’avviso che una crisi del debito sia imminente anche se è difficile prevedere quando si scatenerà. Potrebbe verificarsi in occasione della prossima recessione o in concomitanza con un’impennata dei tassi causata dalla perdita di fiducia nel governo di Washington da parte degli obbligazionisti esteri detentori di Treasury statunitensi. Se la riduzione della spesa è impossibile, la crescita è debole e la possibilità di aumentare il gettito fiscale alzando le tasse è limitata, a nostro avviso sono solo due i modi per gestire il debito statunitense: insolvenza o monetizzazione.

La Teoria della Moneta Moderna non è la soluzione

Alcuni politici hanno iniziato a preparare il Paese a una monetizzazione del debito. Finora, l’accumulo di debito sovrano non ha generato conseguenze avverse visibili all’interno del sistema finanziario. Parimenti, l’adozione di politiche fiscali e monetarie accomodanti non ha dato il via a pressioni inflazionistiche nei prezzi al consumo. Di conseguenza è nata una corrente radicale di pensiero finanziario: la Teoria della Moneta Moderna (TMM). I tratti caratteristici della TMM sono i seguenti:

  • I paesi in grado di stampare moneta possono farlo per pagare i debiti nazionali o finanziare i deficit.
  • I deficit non contano fintanto che i tassi di interesse si mantengono inferiori alla crescita del PIL.
  • Il tasso d’interesse naturale in un sistema monetario a corso legale è pari allo 0%.
  • L’inflazione può essere controllata intervenendo su tassazione, aumento dei tassi e regolamentazione delle grandi aziende.
  • Le economie dovrebbero essere guidate dalla politica fiscale, cioè spesa pubblica e tassazione.
  • La Banca Centrale sarebbe sostanzialmente controllata dal Tesoro.

Economisti di spicco e leader finanziari hanno qualificato la TMM come “fallace”, “spazzatura” e “semplicemente sbagliata”. Noi concordiamo con tali giudizi e crediamo che chi legge questo aggiornamento non abbia bisogno di spiegazioni. Se adottata, la TMM condurrebbe con ogni probabilità a una svalutazione della valuta e un’iperinflazione come quella che quasi cent’anni fa colpì la Repubblica di Weimar e oggi affligge il Venezuela. I prezzi delle obbligazioni crollerebbero e così pure il dollaro statunitense, mentre scoppierebbe una crisi finanziaria già molto prima della completa implementazione della TMM.

Purtroppo sono sempre di meno gli americani che hanno dimestichezza con il livello di rischio finanziario che ci troviamo attualmente a dover fronteggiare (compresi alcuni esponenti di spicco del governo). Inoltre, meno della metà dei giovani d’oggi vede di buon occhio il capitalismo. Secondo un rapporto di Deutsche Bank, dal 2013 al 2019 la percentuale di americani secondo cui la riduzione del deficit di bilancio è una delle massime priorità è passata dal 71% al 48%. In un contesto di indifferenza al debito, disdegno del capitalismo e metamorfosi del pensiero politico, non è difficile immaginare che la TMM diventi ancora più popolare e acquisti maggiori consensi durante la prossima tornata di elezioni presidenziali. A prescindere dall’ideologia politica, gli americani potrebbero trovare irresistibile la lusinga del denaro gratis. Oltre a risolvere il problema del debito, tra i meriti attribuiti alla TMM figurano il finanziamento di un programma progressista di assistenza sanitaria e occupazione per tutti, l’abbandono dei combustibili fossili e l’istruzione universitaria gratuita.

Quale potrebbe essere un’alternativa più verosimile? Che dire di un investimento in una classe d’attivo con valutazioni ragionevoli, un track record comprovato come riserva di valore alternativa e una correlazione negativa al dollaro USA? Una simile classe d’attivo esiste e non occorre cercarla chissà dove: stiamo parlando dell’oro e delle azioni aurifere.

INFORMATIVA E DEFINIZIONI IMPORTANTI

*Tutte le ponderazioni societarie, se menzionate, sono al 31 marzo 2019, salvo diversa indicazione.

1Il NYSE Arca Gold Miners Index (GDMNTR) è un indice ponderato per la capitalizzazione di mercato modificata che comprende società quotate in borsa operanti principalmente nel settore dell’estrazione dell’oro.

2Il MVIS Global Junior Gold Miners Index (MVGDXJTR) è un indice basato su regole ponderato per la capitalizzazione di mercato modificata e rettificata per il flottante che comprende un universo globale di aziende quotate in borsa a piccola e media capitalizzazione, che generano almeno il 50% dei propri ricavi dall’estrazione di oro e/o argento, possiedono beni immobili che una volta sviluppati hanno il potenziale di generare almeno il 50% dei ricavi dall’estrazione di oro o argento ovvero investono principalmente in oro o argento.

3Pollitt & Co. Inc. è una società di servizi di intermediazione e investment banking con sede a Toronto che offre consulenza per collocamenti privati e servizi di negoziazione mobiliari a clienti istituzionali e privati facoltosi.

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