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Risolutezza dell’oro nel 2019: sfidare la resistenza

10 gennaio 2019

 

A dicembre, l’oro cavalca un trend positivo incoraggiato dalla pausa nella guerra commerciale e dal rialzo dei tassi

Dopo diversi mesi di consolidamento attorno ai $1.200 l’oncia, crediamo che l’oro abbia imboccato un nuovo trend positivo grazie ai cospicui afflussi verso gli ETP su lingotti d’oro. All’inizio di dicembre il prezzo dell’oro, insieme a quello di altre materie prime, ha guadagnato terreno allorché il presidente Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno dichiarato di volere momentaneamente seppellire l’ascia della reciproca guerra commerciale. L’oro ha poi raggiunto il suo record semestrale dopo la decisione della Federal Reserve di alzare i tassi il 19 dicembre. La reazione compatta del mercato azionario, del greggio, delle obbligazioni e del presidente Trump non ha lasciato alcun dubbio sul fatto che il presidente della Fed, Jerome Powell, avesse commesso un grosso errore nell’indicare ulteriori aumenti dei tassi nel 2019. Anche noi riteniamo grave l’errore della Fed ma crediamo che la sua origine vada ricercata nell’eccessivo temporeggiare dei predecessori di Powell, che a lungo hanno atteso prima di iniziare a normalizzare la politica monetaria. Ora la Fed è chiamata a normalizzare i tassi in fase conclusiva del ciclo, e il suo tempo sta per scadere.

Dai vertici raggiunti dall’azionario il 21 settembre, l’oro ha sovraperformato il greggio West Texas Intermediate (WTI) del 42% mentre l’indice NYSE Arca Gold Miners Index (GDMNTR)1 ha superato l’S&P 500® Index2  del 27%. I mercati stanno iniziando a scontare la fine dell’espansione post-crisi nel 2019 mentre l’oro, il dollaro USA e i titoli del Tesoro statunitensi segnalano tutti un aumento dei rischi finanziari globali. Nel mese di dicembre, l’oro ha guadagnato $59,95 (4,9%) salendo a $1.282,45 l’oncia. I titoli auriferi hanno impennato insieme all’oro e il GDMNTR è avanzato del 10,8% mentre l’indice MVIS Global Junior Gold Miners Index (MVGDXJTR)3 ha guadagnato il 13,1%.

La forza del dollaro USA è stata la principale causa della debolezza dell’oro nel 2018

Se si esclude il mese di dicembre, possiamo definire quello appena concluso come un anno piuttosto difficile per oro e titoli auriferi. Nel 2018, il dollaro USA si è rafforzato più del previsto ostacolando fortemente l’oro. I tagli fiscali e la spesa in deficit voluti da Trump hanno regalato impulso all’economia statunitense, caratterizzata da una solida crescita, bassa disoccupazione e un guadagno annuo del 4% per lo US Dollar Index (DXY).4 Gli investitori hanno manifestato scarso interesse verso gli investimenti in oro a fronte di un’economia tanto prospera e dei record segnati dal mercato azionario. Il rialzo dei tassi unito alla forza del dollaro USA ha messo in difficoltà il debito dei mercati emergenti, culminando in una crisi valutaria in Turchia. Il dollaro USA si è ulteriormente apprezzato nei confronti di molte valute dei mercati emergenti non incluse nel DXY. Ad agosto, i fondamentali deboli hanno affossato il prezzo dell’oro oltre il supporto tecnico, portandolo al minimo annuo di $1.160. Ma il metallo giallo è riuscito a recuperare le perdite a fine anno, quando la fiducia del mercato è parsa virare a suo favore. L’oro ha chiuso il 2018 con una perdita annua di appena $20 (-1,6%).

Quest’anno i titoli auriferi hanno sofferto nonostante la solidità dei finanziari e le valutazioni convenienti

Lo scarso interesse raccolto dall’oro per buona parte dell’anno è risultato amplificato per i titoli auriferi. Il GDMNTR è sceso dell’8,5% nel 2018 mentre il MVGDXJTR ha ceduto l’11,3%. È stato un anno particolarmente complesso per le società junior, che noi definiamo «sviluppatori» e che producono meno di 300.000 once all’anno. La maggior parte di queste non è riuscita a sovraperformare il benchmark GDMNTR. Le pratiche di tax loss selling e la liquidazione di un grande fondo aurifero hanno pesato sulle junior nel quarto trimestre. La debole performance azionaria travisa il fatto che le società stanno facendo bene a livello sia operativo che finanziario. Le valutazioni sono pertanto scivolate ben al di sotto della media di lungo periodo. I solidi fondamentali societari suggeriscono che questo differenziale di valutazione potrebbe chiudersi non appena gli investitori assumeranno un approccio più positivo nei confronti del prezzo dell’oro.

I problemi operativi e i timori geopolitici in Messico hanno frenato la performance quest’anno

La performance della nostra strategia attiva sull’oro ha deluso le aspettative nel 2018, anche se dobbiamo segnalare alcuni vincitori di tutto rispetto. Il produttore mid-tear Kirkland Lake (9,8% di attività nette*) è riuscito a espandere i giacimenti di qualità elevata e la produzione regalando ottimi guadagni alla nostra posizione principale. Anche diversi titoli mid-tier australiani hanno sovraperformato grazie a consistenti risultati operativi. Il nostro principale sviluppatore junior Corvus Gold (2,3% di attività nette*) ha guadagnato sull’onda della pubblicazione di una convincente perizia iniziale per il suo progetto Nevada. Tuttavia, in portafoglio detenevamo una serie di società junior e mid-tier che hanno riferito imprevisti problemi operativi o sociali penalizzanti per la performance. Quando decidiamo di investire, lo facciamo perché siamo ragionevolmente convinti che il management sia in grado di mitigare i rischi operativi e sociali. Quindi, quando le società non realizzano i risultati previsti, dobbiamo determinare se si tratta di un problema temporaneo o persistente per il management. Nel 2018 sono state sette le società che non sono riuscite a gestire correttamente i rischi, più del doppio del normale. Quattro di queste non sono più in portafoglio mentre prevediamo che tre recupereranno la performance perduta nel 2019.

Una seconda area di sottoperformance è attribuibile ai rischi geopolitici legati al nuovo presidente messicano Andrés Manuel López Obrador. Ci si aspettava un nuovo presidente ostile al business, che avrebbe potuto galvanizzare i sindacati e i gruppi contrari all’attività estrattiva. Ciò considerato, abbiamo ridotto la nostra esposizione a società con operazioni in Messico prima delle elezioni di giugno. Dopo le elezioni, però, e prima dell’insediamento del nuovo presidente a dicembre, un controverso referendum sulla costruzione di un aeroporto e la proposta legislazione contro le estrazioni da parte del suo partito hanno fatto crollare i titoli. Con il senno di poi, avremmo potuto essere più aggressivi nel ridimensionare le posizioni messicane. La nostra esposizione rimarrà al di sotto della norma finché non vedremo una leadership più favorevole.

Contrariamente allo scorso anno, il 2019 inizia con il tema della contrazione globale

Una differenza abissale nel giro di un anno. Il 2018 era iniziato all’insegna della crescita globale sincronizzata mentre il 2019 potrebbe iniziare con una contrazione globale sincronizzata. I risultati del settore manifatturiero in Cina, misurati sull’indice dei responsabili degli acquisti (PMI)5 elaborato dall’ufficio di statistica ufficiale nazionale cinese e da Caixin/Markit, società di sondaggi di opinione privata, sono scivolati in territorio negativo a dicembre. Giappone e Germania hanno iscritto una crescita negativa del PIL nel terzo trimestre. Secondo un sondaggio della Duke University, come riferito da Gluskin Sheff,6 il 49% dei chief financial officer statunitensi crede che l’economia inizierà una fase di recessione nel 2019 e l’82% prevede una recessione nei prossimi due anni. Parti della curva dei rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi hanno avviato una leggera inversione, cosa che non accadeva dal 2008.

Durante il mercato rialzista post-crisi, l’S&P 500 ha attraversato quattro correzioni di entità compresa tra il 15% e il 20%, le prime tre rispettivamente nel 2010, 2011 e 2015/16. L’attuale correzione è la quarta in questo ciclo e sembra essere la più minacciosa per l’economia perché coincide con pesanti ondate di vendite di greggio e altre materie prime, con un rally dei titoli del Tesoro statunitensi e un allargamento degli spread sulle obbligazioni societarie. Dopo un rialzo indotto dai tagli fiscali, gli utili aziendali sono destinati a diminuire prefigurando un calo nella più vasta e unica fonte di domanda di titoli statunitensi. A ottobre, Goldman Sachs ha riferito che le società statunitensi stavano riacquistando oltre $770 miliardi di titoli propri nel 2018.

Il prossimo intervento della Fed potrebbe prendere due strade, entrambe favorevoli all’oro

È ampiamente risaputo che le politiche della banca centrale producono effetti con un ritardo di 12 mesi. Ciò significa che l’economia avvertirà solo nel 2019 il vero impatto dei rialzi dei tassi operati dalla Fed nel 2018 e del quantitative tightening (QT) mensile da $30 miliardi. Si prevede inoltre che la Fed aumenterà ulteriormente i tassi e che il QT verrà innalzato a $50 miliardi al mese.

Nel 2019, ci aspettiamo di assistere a uno di questi due scenari:

    • la Fed prosegue la sua politica, eventualmente trascinando l’economia in recessione. Questo può accrescere i rischi finanziari legati a governi e società fortemente indebitati;
    • la Fed interrompe o inverte il suo ciclo di stretta monetaria. Probabilmente questo indebolirebbe il dollaro USA.

Entrambi gli scenari sarebbero favorevoli per l’oro. Oro e titoli auriferi iniziano il nuovo anno con tendenze positive rimaste assenti per gran parte del 2018. Riteniamo sempre più probabile che l’oro possa nuovamente testare il suo livello di resistenza a $1.365, inviolato da ormai cinque anni. Se i mercati scorgessero sufficienti rischi sistemici in grado di spingere l’oro oltre questo livello, il 2019 potrebbe essere un buon anno per chi investe in oro e titoli auriferi.

Mercato ribassista più probabile di un crollo e investimenti in oro possibilmente meno volatili

Quindi, se abbiamo ragione nel prevedere un inizio di recessione nei prossimi 12 mesi, i mercati crollerebbero come fecero nel 2000 e nel 2008 oppure si instaurerebbe solo un ordinario mercato ribassista? Escludendo eventi imprevedibili e senza considerare le criptovalute, non esistono elementi evidentemente maniacali in questo ciclo. Non possiamo tuttavia negare che si sia verificata un’inflazione dei prezzi di azioni, obbligazioni, immobili e altre classi di attività. Nel complesso, ciò ha probabilmente generato la più grande bolla delle attività della storia che, in assenza di elementi maniacali, difficilmente potrebbe sfociare in un crollo. Un ulteriore rischio in questo ciclo è rappresentato dall’esplosione del debito sovrano. Questo potrebbe innescare una risposta politica da parte delle banche centrali in una fase di ribasso che distorcerebbe e indirizzerebbe i mercati, ma riteniamo improbabile che la situazione possa precipitare in un crollo, soprattutto con un sistema bancario reso più stabile dopo la crisi. Gli investimenti in oro potrebbero beneficiare di una volatilità minore in una fase di flessione senza crollo.

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